Infermieri, il cuore dell'Ospedale

Infermieri, il cuore dell'Ospedale

Quella dell'infermiere è una figura fondamentale nell'Ospedale. Ne abbiamo parlato con Elena Raucci,
del 28 Dic 2016
Infermieri, il cuore dell'Ospedale Nell’Ospedale Evangelico Villa Betania le infermiere e gli infermieri rappresentano il 50% del personale. Una figura, dunque, di cui non si può fare a meno e che avrà sempre maggiori responsabilità. Ne abbiamo parlato con Elena Raucci, la dirigente dell’Area infermieristica dell’Ospedale, una delle persone che lavora da più tempo nell’Ospedale. Ci arrivò nel settembre 1978 chiamata dal fondatore, il dott. Teofilo Santi, che ha conosciuto personalmente. Dal 1982 è stata la coordinatrice delle infermiere ostetrico-ginecologiche fino al 2000 quando ha assunto la responsabilità del settore infermieristico.
 

Domanda. Qual è il ruolo dell’infermiere nell’Ospedale?
Risposta. L’infermiere è fondamentale nella vita dell’Ospedale, il buon funzionamento della struttura passa senza dubbio per questa figura professionale che ha, innanzitutto, la responsabilità della cura della relazione con il paziente. Negli ultimi anni il nostro ruolo è cambiato radicalmente, tranne che in un aspetto: l’umanizzazione della permanenza in Ospedale.
 
D. Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate nel vostro lavoro?
R. La difficoltà più grande, che è anche una criticità della nostra struttura in questo periodo, deriva dal sovraffollamento. Il notevole afflusso di persone non ci consente di accudire ognuna come vorremmo. Non riusciamo così a mantenere alta la qualità della relazione e dunque anche quella assistenziale, anche se quest’ultima è comunque sopra la media rispetto ad altre strutture sanitarie del territorio.
 
D. Com’è cambiata la figura dell’infermiere?
R. La figura dell’infermiere è cambiata radicalmente, così come il percorso formativo. Oggi gli infermieri sono laureati e hanno conoscenze e competenze che non avevamo noi in passato. Anche se io sostengo che è la pratica che fa il buon infermiere. Alle nuove infermiere che si presentano con il loro curriculum e in alcuni casi il biglietto da visita io, accogliendole, rispondo: il biglietto da visita ve lo farete da sole! E poi, attenzione, la laurea porta ad essere dottori in scienze infermieristiche, ma la nostra missione resta l’assistenza. Questo lavoro ti deve piacere, è una missione. E qui, in particolare, cerchiamo ancora oggi di lavorare con lo stile del fondatore, il dott. Teofilo Santi che credeva molto nel ruolo dell’infermiere e invitava medici e infermieri alla cura della relazione ancor prima che della malattia.
 
D. Com’è cambiato, invece, il rapporto medico-infermiere?
R. Purtroppo è sempre difficoltoso. I medici fanno fatica a riconoscere il nostro ruolo. Noi non siamo meri esecutori delle indicazioni del medico, il nostro lavoro è complementare a quello dei medici e lo sarà sempre di più. Noi siamo il tramite tra il medico e il paziente. L’infermiere dovrebbe avere maggiore autonomia e dall’altra parte responsabilità. Ricordo ancora quando nel 1978 arrivai a Villa Betania, dove mi aveva portato il dott. Mauro, e fui conquistata dallo stile del dott. Santi ma anche dall’atmosfera che si respirava qui, eravamo una grande famiglia. Il lavoro era tanto e le risorse umane poche. In quegli anni qui si effettuavano 2500-2600 parti all’anno. Alla clinica Ruesch, dove avevo iniziato a lavorare, le infermiere erano considerate cameriere di lusso. Una cosa che proprio non sopportavo.
 
D. Per concludere, consa consiglia a giovani infermieri?
R. Il nostro lavoro, il lavoro di infermiere, sarà sempre più importante in futuro. Oltre alla preparazione, che è fondamentale, bisogna curare molto le relazioni: con i colleghi, con i coordinatori e ovviamente con i pazienti. Il nostro è un lavoro fatto di ascolto, tanto ascolto, di attenzione, di dedizione, di sacrificio. Per gli infermieri passa una parte importante dell’umanizzazione di una struttura sanitaria.

 

 

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